La questione del sepolcro

Publish date 08-03-2004

by Giuseppe Pollano

Nel cammino che Gesù sta facendo verso la sua morte si ferma davanti al sepolcro di Lazzaro (Gv 11,1-45). Quando uno come Gesù, che può tutto, si trova davanti al sepolcro di un uomo, qualcosa di diverso capiterà, perché Gesù è spinto dall’amore, è capace di piangere lacrime su questa sorte.

di Giuseppe Pollano

È troppo grande la figura di Gesù dal quale sgorgano lacrime di fronte a Lazzaro, l’amico morto (Gv 11,1-45). D’altra parte è altrettanto grande la questione che Gesù affronta, la questione delle questioni, quella che ha vissuto lui stesso e che qui ha sciolto in bellezza in favore di un amico: la questione del sepolcro. Gesù adopera la potenza, ma è l’amore che lo muove.

Di fronte alla morte: quale soluzione?

Sepolcro vuol dire morte e questo evento della vita, quando l’uomo è vivo, continua ad avere soluzioni le più disparate. Le posizioni in fondo sono tre, con moltissime varianti. Nell’Otello di Verdi il librettista, a proposito della morte, fa dire a Iago: “La morte è il nulla”. Quando stava per morire Rabelais, un poeta del rinascimento francese, disse: “Vado a cercare un gran forse”. Non è più il nulla, è il forse, ma è chiaro che il clima è di incertezza profonda. Ed infine il saluto di Francesco di Assisi alla morte: “Laudatu si, mi signore, per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente po skappare”.

La nostra esperienza ci direbbe che il sepolcro è un punto di arrivo, Gesù, con questo vangelo, rovescia completamente la situazione e ci insegna che il sepolcro è un punto di partenza: si entra per sentirsi dire: “Vieni fuori!”, non sei fatto per la morte. Siamo pertanto invitati a vivere secondo speranza certa che dal sepolcro si esce per incominciare la vita. Vivere questa speranza è uno stile di vita che richiede una preparazione.


Gesù ricompone l’ordine delle cose
Quando Lazzaro era malato Gesù appositamente ha voluto aspettare per poi affrontare la morte. Le sorelle di Lazzaro erano abituate a vederlo guarire i malati, non a far uscire i morti dal sepolcro. Gesù, poiché ci ama, ha voluto appositamente gettare luce sull’estremo problema e ricomporre l’ordine delle cose. Senza dubbio, infatti, col peccato abbiamo stravolto dei valori.

Il binomio corpo e anima è stato rovesciato come gerarchia di valore. Dovremmo essere prima di tutto esseri spirituali, in realtà spesso oggi il corpo vince molte delle sue battaglie, cosicché l’anima è diventata una cenerentola cui diamo poca attenzione. Gesù invece ci dice di cominciare dall’anima a essere noi stessi, non dal corpo. Se comincio dalla mia anima, ricordo che prima di tutto essa è fatta per specchiare Dio. Essere immagine e somiglianza di Dio non si fa con il corpo, si fa con l’anima, dando il primato allo spirito.
Interno di quella che la tradizione identifica come la prima tomba di Lazzaro, Betania
Altra coppia rovesciata: tempo ed eterno. Se tu entri nel sepolcro è perché il tuo tempo è finito, ma se tu esci dal sepolcro è perché il tuo eterno comincia. Noi credenti mettiamo l’eterno prima del tempo perché Dio non è un estraneo per noi; alla luce del nostro rapporto con lui non ci lasciamo prendere dalla frenesia del tempo. “Non abbiamo più tempo, non abbiamo mai tempo”: paradossale. Viviamo di tempo e non ce l’abbiamo mai. “Pregherei, ma non ho tempo”: l’eterno diventa uno spreco perché stando davanti a Dio, non progetti, non corri, non guadagni soldi.

Ancora un binomio: morte e vita. Convinti che il sepolcro ci aspetta, dobbiamo rovesciare ancora una volta le cose, dobbiamo credere che il Vivente c’è, che Cristo risorto non è un’icona pasquale che poi se ne va, ma è l’amico di ogni giorno che ci incoraggia, che spinge la nostra intelligenza a credere, il nostro cuore a sperare e ad amare intensamente. Per questo prego, per questo mi nutro del Risorto, per questo quando un peccato mi conduce alla morte mi risollevo prontamente, perché non voglio più perdere quel Vivente che è in me e che mi trascina già oltre. Questo è vivere già sotto l’impulso di quel “Vieni fuori, Lazzaro”, vieni fuori dalla tua vita che non è più mortale anche se morirai, non spaventarti, sei già vivo.


Non lasciare morire la speranza

Il Signore anche oggi versa lacrime su di noi quando ci vede impauriti, tristi, lontani da lui perché abbiamo peccato, gli abbiamo voltato le spalle o ci siamo dimenticati di lui. Allora il Signore, proprio come quella volta, lascia che gli sgorghino lacrime fraterne su di noi e non ci lascia soli, viene a cercarci. Quante volte ci ha detto e ci dirà ancora: “Vieni fuori, non scoraggiarti, non perderti d’animo perché io ti voglio troppo bene per lasciarti là dentro”.

Se non perdi l’eccellenza di Dio, l’orizzonte rimane aperto e allora puoi vivere tranquillo. Magari domani avrai delle prove, ma non perdi lo sguardo che va oltre perché tieni tra le braccia l’amico Risorto, e allora niente ti distrugge. Ma bisogna stare molto attenti, perché molti attorno a noi cercano di farci chiudere gli orizzonti, molti cercano di farci dimenticare le cose. Oggi non è più l’epoca delle grandi polemiche contro Dio; il rischio per il cristiano è quel leggero sonnifero sulle cose grandi, è quel vivere sempre delle cose del mondo, che lentamente imprigiona e fa dimenticare la profonda speranza nell’oltre.

Non sei ancora nel Regno, non hai ancora la beatitudine, ma hai la speranza. Se non hai la speranza che ti motiva, che ti anima, che ti spinge all’eroico se è necessario, se a poco a poco la perdi, quando la vita ti proverà, quando ti arriverà un dolore o anche solo la tentazione forte di staccarti da Dio, tu cederai. Non lasciare che muoia la speranza.


Far uscire dai sepolcri e far vivere

Vivere con la prospettiva di un sepolcro che aspetta è angosciante. I meccanismi di difesa e di rimozione attorno a noi cercano soltanto di non farci pensare. Il cristianesimo fa sempre vivere qualcuno, altrimenti non è cristianesimo, è una buona morale, è una buona dottrina.
Se non fai vivere qualcuno non hai capito Cristo: perché è morto per farti vivere, perché quel giorno è partito apposta per dire “Vieni fuori dal tuo sepolcro”. Se non fai vivere nessuno ti illudi, sei cristiano per far vivere te, e allora il tuo diventa un cristianesimo egocentrico che sempre chiede: è una religione qualunque, non il cristianesimo. Se invece fai vivere, sei già oltre la morte. È una prospettiva molto bella. Quando Gesù saliva verso la sua morte c’è da pensare che nella sua angoscia di uomo che andava a morire ci fosse però questa grande luce interiore: io sto morendo per far vivere, se il chicco di grano non muore non dà frutto. Queste parole lo hanno tenuto in piedi fino alla fine, non cede perché l’amore gli fa dire appassionatamente: “Perché tu viva”.
Far vivere: ecco il segreto di questo Gesù che lacrima e che poi potentemente tira fuori dal sepolcro. Bisogna ricordarlo, perché il sepolcro non è poi sempre l’ultimo sepolcro, di cose che ci lasciamo dietro perché sono morte ne abbiamo molte. Quando ti muore una gioia, un ideale, una persona, una fiducia, un amore, non sono sepolcri questi? Non c’è forse tanta gente che, dopo un grosso dolore, si rannicchia nel suo sepolcro e non si riesce più a farla venire fuori? Allora bisogna saper dire “Vieni fuori”. E viene fuori solo se tu entri nel suo sepolcro, cioè nella sua tristezza, con l’ascolto, con la pazienza, se la prendi per il braccio e poco per volta le dici: “Guarda che fuori c’è ancora il sole, andiamo a vedere”. Ci vuole molta fraternità.
Giuseppe Pollano
Tratto da un incontro all’Arsenale della Pace
testo non rivisto dall'autore


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