La risposta che manca

Publish date 30-01-2013

by Flaminia Morandi

Carlo Bianchi da Vigolo, La chiamata degli apostoliQuello che i sociologi chiamano calo delle vocazioni, un cristiano dovrebbe chiamarlo calo della fede. Ogni cristiano, in quanto battezzato, è chiamato, vocatus. La vocazione, per uno che dice di essere cristiano, significa credere che Dio è l’inizio e il fine della vita, che lo scopo dell’esistenza è essere con Dio, è mettere Dio al primo posto.
Per realizzare una vocazione non è necessario, certo, scegliere di farsi prete o suora. “Secondo la dottrina tradizionale della Chiesa, la vita consacrata per natura sua non è né laicale né clericale, e per questo la consacrazione laicale tanto maschile quanto femminile, costituisce uno stato in sé completo di professione dei consigli evangelici. Essa perciò ha, sia per la persona che per la Chiesa, un valore proprio, indipendentemente dal ministero sacro”, dice l’esortazione apostolica di Giovanni Paolo II Vita consacrata (VC) al n. 60.

“I cristiani – diceva nel secondo secolo la lettera a Diogneto – non si distinguono dagli altri uomini né per territorio, né per lingua, né per il modo di vestire... Dimorano sulla terra, ma sono cittadini del cielo...”. In una parola, ciò che l’anima è nel corpo, i cristiani lo sono nel mondo. I cristiani sono il lievito nella pasta, come dice il Vangelo, sono il sale che impedisce di marcire. Ai tempi di Diogneto, i cristiani potevano essere lievito e pasta, rimanendo, come diremmo noi, “laici” persone che abitavano nel mondo non essendo del mondo: diversi perché credevano, appunto, che la vera vocazione dell’uomo fosse Dio, l’Amore, e cercavano di metterlo in pratica, di rendere evidente questo Amore nella loro vita quotidiana.
All’inizio del quarto secolo è successo un fatto che ha cambiato tutto: con Costantino il cristianesimo è diventato la religione dell’impero. Il mondo, in poco tempo, è diventato tutto cristiano, qualunque fosse la cosa, il dio o l’idolo a cui credeva prima. Battesimi di massa, scarsa profondità di fede.

Ambrogio da Fossano, Cristo portacroce con monaci certosini images/stories/fotoC’è una frase molto bella dell’ortodosso rumeno Nicu Steinhardt, convertito in prigione sotto il comunismo: “Il cristianesimo è una religione difficile e complicata: il teandrismo. Senza smettere di essere uomo, devi essere, contemporaneamente, anche Dio”. Una religione complicata e difficile diventata all’improvviso la religione di tutti. In un mondo tutto cristiano, come essere lievito, come essere sale? È così che è nato il monachesimo: quando tutti erano cristiani, i veri convertiti si facevano monaci.
Nella religione rivelata, con la dottrina della grazia, della “discesa” di Dio fra gli uomini, non dovrebbe esserci posto per l’ascetismo, che è per sua natura un movimento di sforzi umano per “ascendere” a Dio.

Ma l’ascesi monastica non è separazione, rifiuto del mondo; il monaco è colui che, con la sua vita, vuole testimoniare di essere un uomo di Dio, uno che vive “secondo natura”, intesa come “natura vera”, cioè uno che mette tutti i suoi sforzi a disposizione perché la grazia di Dio lo raggiunga, uno che perciò vive in una lotta interiore continua. Questa lotta contro il male che tenta dall’interno, diventa una lotta cosmica contro il male che minaccia il mondo; e così, per mezzo dell’ascesi del monaco, tutto il mondo è purificato, è trasfigurato, cioè lascia passare, sotto la nube del male e del disordine, un raggio di luce.
Dunque il monaco è colui che consacra a Dio ciò che in realtà già Gli appartiene: la sua vita, la sua intelligenza, la sua salute, la sua forza. Lo fa perché nella generalizzazione, nell’appiattimento della vita cristiana, il lievito rimanga vivo, capace di fermentare, e il sale di non fare degenerare.

Consacrare a Dio quello che uno ha ricevuto, consacrarsi, è un gesto di coraggio, una ribellione pacifica, un modo di essere controcorrente, è il gesto di uno che vuole rendere possibile l’impossibile, reale la trasfigurazione, quotidiana la resurrezione. Gli uomini e le donne che hanno scelto la via di speciale sequela a Cristo per dedicarsi a Lui, che hanno lasciato ogni cosa per stare con Lui, per mettersi come Lui al servizio di Dio e dei fratelli, “hanno pure concorso a rinnovare la società” (VC 1). E non c’è bisogno di ricordare cosa è significata, nella storia dell’Occidente, la vita consacrata dei cristiani.

Suore clarisse dell'ImmacolataCon il tempo, attraverso i secoli, con il confondersi progressivo della gerarchia religiosa con il potere politico una grande quantità di vocazioni è nata da motivi demografici, economici e sociali più che da un’illuminazione religiosa; e la nostra generazione risente ancora dei pregiudizi e dei luoghi comuni che sono derivati dai cattivi preti e dalle cattive suore uscite da famiglie con troppe bocche da sfamare, con problemi di dote, con ansie di carriera. Consacrarsi è una scelta di nostalgia. È la nostalgia che fa dire a Geremia: “Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato” (Ger 1,5).
L’uomo nasce piangendo, ferito dalla nostalgia del Padre che ha lasciato, la consacrazione è incamminarsi verso la fonte della nostalgia.

Va anche detto che una cosa è la consacrazione di monaci e monache, dei laici, delle stesse suore, (laiche anch’esse, ma se lo dimenticano troppo spesso), un’altra cosa l’ordinazione dei sacerdoti, i ministri, gli unici clericali. Ci si dimentica che lo stesso abito dei religiosi non era, un tempo, una caratterizzazione che definiva lo status, ma semplicemente il modo più comodo, più semplice, più povero di vestirsi, adatto a chi dedicava la giornata agli altri in un mondo dove i vestiti erano sfarzosi, coperti di gioielli e di pietre preziose, ingombranti e impratici. L’abito delle suore che è sopravissuto fino ad oggi, anche se semplificato, prima corrispondeva a quello che oggi sono un paio di jeans ed una maglietta.

Oggi consacrarsi non solo come battezzati, ma con una scelta monacale, comunitaria, associativa, è il segno di cui il mondo ha bisogno. Un mondo in cui la parola “cristiano” sembra non essere più interessante, ha bisogno di cristiani che facciano scelte interessanti, che rifiutino i prodotti del supermercato del mondo per un bene invisibile, di gente che si metta in gioco con tutte le energie che gli altri dedicano al mantenimento del corpo in buona forma, che facciano a meno del denaro sorridendo, che abbraccino i poveri sgradevoli e puzzolenti.
Oggi chi sente attrazione per le mille forme di consacrazione generate dalla creatività dello Spirito dopo il Concilio, non può essere motivato che dall’amore. Non può che essere uno toccato da una Presenza, uno che sente come primo compito “rendere visibili” le meraviglie che Dio opera nella fragile umanità delle persone chiamate (VC 20). Non può che essere uno cosciente che il cristiano è chiamato alla santità. Perciò, dice il papa, “A voi, giovani, dico: se avvertite la chiamata del Signore, non respingetela!.. Inseritevi, piuttosto, coraggiosamente, nelle grandi correnti di santità, che insigni santi e sante hanno avviato a seguito di Cristo” (VC 106).

Se ci si lascia condurre dallo Spirito si è resi capaci di testimoniare che un’esistenza trasfigurata può sorprendere, stupire, sconvolgere, trasfigurare il mondo, si diventa “una traccia concreta che la Trinità lascia nella storia, perché gli uomini possano avvertire il fascino e la nostalgia della bellezza divina” (VC 20). Si tratta di inserirsi nella comunione dei santi e di esplodere assieme a Simeone il Nuovo Teologo, nelle parole dello stupore: “Sono condotto fuori di me mentre penso a me stesso; vedo com’ero e cosa sono divenuto ... Sto attento, sono pieno di rispetto per me stesso, di riverenza e di timore, come davanti a Te stesso¸ non so cosa fare, perché mi ha preso la timidezza, non so dove sedermi, a che cosa avvicinarmi, dove riposare queste membra che Ti appartengono; per quale impresa, per quale opera impiegarle, queste sorprendenti meraviglie divine” (S.i.N.T., Inni, II).

Flaminia Morandi
NP agosto/settembre 1997

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