La forza del dono
Publish date 26-11-2017
di Cesare Falletti - «Ciò che non è donato è perso». Questa frase è di un poeta di cui non ricordo il nome (l’ho sentita in una predica e ci si accorge che occorreva fare attenzione e memorizzare quando è troppo tardi! Ma anche questo è gratuità); ma il contenuto è troppo importante per farselo scappare! Ci sono parole che ci invitano, e forse anche obbligano, a cambiare mentalità, a vedere le cose altrimenti, a rischiare un atto, un gesto un percorso senza apparenti garanzie. Cos’è un dono, e parlo di doni senza uno scopo calcolato, anche se non apparente? È qualcosa che dice la volontà di entrare in relazione, di far piacere, di essere presente (è anche un nome del dono) a qualcuno a cui si manifesta della simpatia. Se è un “comprare” camuffato, certo non è un dono. Colui che dona talvolta prova due sentimenti opposti, in particolare se il dono ha un certa importanza o è una cosa affettivamente importante: la gioia di far piacere e una tensione dovuta a ciò che si risente come strappo. Anche una persona che si distacca con difficoltà dalle cose (o dai soldi) può provare gioia nel dare, ma deve passare da una certa fatica, e da una certa tensione. Altri invece con una natura più liberale sono contenti nel dare, senza sguardi indietro. Non è una questione di merito o di valore: si è come si è e ciò che conta è il donare.
Ma perché ciò che non si dona è perduto? Non conoscendo l’autore non posso chiedergli cosa intendeva dire, posso però lasciarmi interpellare da questa parola e diventarne un discepolo attivo, che fa un suo cammino. Le cose, i beni, e in un certo senso anche gli affetti non esistono per essere posseduti, ma per mettere in relazione e far crescere amore e amicizia fra le persone. Avere per se stessi è far morire lo scopo e il valore delle cose possedute. «Cos’hai che non ti sia stato dato?» chiede san Paolo. All’origine, quindi, del possesso c’è un dono e tale rimane nella sua natura. Lo si fa morire, lo si perde se diventa un possesso egoista, anche se apparentemente rimane presente nelle mani di chi lo tiene prigioniero e se ne avvale per scopi solamente personali. Ciò che non è donato perde la sua capacità di essere sorgente di vita nell’amicizia, nell’affetto, nella solidarietà o nella riconoscenza; il suo scopo di essere legame fra persone viventi. Mentre un dono è sorgente di una catena di reazioni positive che possono durare a lungo e estendersi su scala molto vasta. Tempo fa girava su WhatsApp una storia di un bicchiere di latte dato senza chiedere nulla in cambio a un ragazzo assetato, studente e solo in una città. Tempo dopo, diventato medico, il giovane in questione si è trovato come paziente, in stato molto grave, la donna che lo aveva dissetato. Il suo impegno riconoscente ha salvato una vita. Certo non sempre le cose della vita vanno in modo così platealmente positivo, ma non c’è dono che non crei una catena di vita, come non c’è un atto egoista che non generi sterilità. Una delle malattie della nostra società è la mancanza di gratuità sia nel dare che nel ricevere; non solo le cose, ma anche le relazioni, le amicizie, le collaborazioni, le differenti appartenenze. Si calcola l’interesse che ne deriva e in questo modo si vive in un deserto sterile, senza bellezza e senza gioia, circondati da false apparenze. Solo i giovani sono ancora capaci di legarsi in rapporti gratuiti, ma forse il rovescio della medaglia è la fragilità e la mancanza di fedeltà. La pazienza di chi aspetta che le persone e le cose crescano e si fortifichino e diventino rapporti affidabili è la virtù che si deve andare a cercare (non certo comprare!) in chi ha saputo vivere dando e ricevendo con una libertà di cuore sorgente di gioia. E questa gioia rimane il clima in cui si dà per non perdere.
Cesare Falletti
CUORE PURO
Rubrica di NUOVO PROGETTO