Il vangelo di Marco (1/21)

Publish date 27-09-2012

by p. Mauro Laconi

di p. Mauro Laconi, op - Il vangelo dei catecumeni, come è definito il vangelo di Marco, ha proprie caratteristiche che verranno evidenziate in queste riflessioni.

San Marco Evangelista, Parrocchia di San Marco, PescaraMarco non è uno dei dodici, né avrebbe potuto esserlo, perché troppo giovane. Ha aderito però subito alla comunità di Gerusalemme, ed ha conosciuto Gesù, come l’ha conosciuto la mamma di Marco, della quale si parla nel cap. 12 degli Atti degli Apostoli. Numerosi testi del Nuovo Testamento ci parlano di Marco, detto anche Giovanni Marco: gli Atti, le lettere di Paolo, le lettere di Pietro. Marco parte con Paolo, di cui è discepolo, e Barnaba, per il primo viaggio apostolico, ma si separa presto da Paolo, che non prende bene questo abbandono, anche se vi sarà più tardi una completa riconciliazione ed una nuova collaborazione. Marco, secondo quanto attestano gli Atti, la prima lettera di Pietro e le più antiche tradizioni, diviene discepolo di Pietro, probabilmente suo segretario.
Marco ha scritto il suo vangelo verso gli anni 70. Abbiamo già visto che non è stato uno dei dodici, e quindi il suo non è un racconto di chi ha visto e udito.


1) La nascita dei vangeli

I vangeli nascono poco a poco, e raccolgono testi che sono serviti per celebrazioni liturgiche, per la predicazione, come strumenti di catechesi, e si sono arricchiti durante una lunga gestazione. Sono come spugne che hanno assorbito 40 anni di storia della Chiesa, di una Chiesa che è partita da Gerusalemme e si è diffusa in tutto il mondo.
La fonte più antica dei vangeli è senza dubbio il racconto della passione, che occupa due capitoli in Marco, in Matteo, in Luca e anche in Giovanni. Il linguaggio del racconto della passione è più arcaico, e lo schema è profondamente unitario in tutti i vangeli, in quanto questo racconto – sino all’annuncio dell’Angelo: “È risorto, non è qui” - costituì il primo vangelo cristiano.
C’è una seconda fonte, a noi non pervenuta, i “lòghia” di Gesù (lòghia è una parola greca che significa piccole frasi). La raccolta di questi detti di Gesù è iniziata molto presto nelle prime comunità della Palestina, probabilmente proprio a Gerusalemme verso gli anni 40–50, ai fini della catechesi, in quanto fin dall’inizio i cristiani hanno capito che non esiste migliore catechesi che l’insegnamento personale di Gesù. Non importa se non sono stati subito scritti, ma tramandati all’inizio oralmente: a quei tempi la tradizione orale era molto fedele.
Luca e Matteo usano questa fonte indipendentemente l’uno dall’altro, in modo strettamente parallelo. Marco invece non la usa, benché sembri impossibile che non la conoscesse, essendo ormai i lòghia divenuti patrimonio comune delle comunità. È quindi logico pensare che non li abbia utilizzati perché ha fatto una scelta: non ripetere tutto ciò che si diceva su Gesù o quello che Gesù aveva detto, ma raccontare alcuni fatti per degli scopi ben precisi, che cercheremo di cogliere man mano che leggeremo il suo vangelo.

Salterio Glossato, Bibliothèque nationale de France, ParigiUna fonte sulla quale invece si basa Marco è una raccolta di fatti della vita di Gesù più tardiva dei lòghia, ma anteriore agli anni 60, e non nata in Gerusalemme, ma in Galilea.
In essa, per quanto comprendiamo dell’utilizzo che ne fa Marco, si parla di Gerusalemme in modo un po’ antipatico: Gerusalemme è il luogo in cui Gesù è stato ucciso. Si parla bene invece della Galilea, dei suoi villaggi, dove Gesù era passato predicando. La Galilea era detta Galilea delle genti perché, pur essendo una delle tre regioni della Palestina (Giudea, Samaria, Galilea) c’erano anche molti pagani. Questo per Gesù era importante, perché Gesù è venuto per tutto il mondo; in Galilea incontra parecchi pagani, guarisce la figlia di una donna pagana, il servo di un centurione, indemoniati pagani.
Di questa fonte si serve Marco, quando inizia a scomparire la seconda generazione cristiana, quella che aveva conosciuto i testimoni oculari, e quando diviene quindi molto importante codificare i ricordi sui fatti della vita di Gesù. Però Marco la sfrutta liberamente, per comporre il suo vangelo, che è il più antico di tutti benché non sfrutti né i documenti più antichi, né la terza fonte degli altri vangeli sinottici: quella che riguarda l’infanzia e le apparizioni pasquali di Gesù.


2) Il vangelo di Marco

Il vangelo di Marco è quindi un po’ particolare: ci sono racconti tratti dai ricordi sulla vita di Gesù, ma non la sua infanzia, né i suoi discorsi, e neppure le apparizioni pasquali, ma solo l’annuncio della risurrezione. I versetti finali infatti, dove vengono riassunte tutta una serie di apparizioni, sono un’aggiunta tardiva, non di Marco.
Come si può spiegare tutto questo?
Marco ha voluto comporre un’opera con dei fini precisi, quando ha inventato il vangelo (la parola vangelo, che è ripetuta più volte da Marco, non si trova ad esempio in Luca). Marco non racconta la vita di uno che fu, non fatti del passato, ma parla del presente. Gesù Cristo è un personaggio che vive adesso. Colui che ha terminato il vangelo di Marco componendo i versetti finali, ne ha afferrato compiutamente lo spirito, quando ha scritto come ultima frase che i discepoli partono per la predicazione, mentre “il Signore operava insieme con loro”.
Gesù è con loro, Gesù è con noi: è questa l’idea fondamentale di Marco. Gesù è nella Chiesa, ed i miracoli li fa nella Chiesa, le parabole le dice nella Chiesa, chiama i discepoli nella Chiesa, la sua morte e risurrezione avvengono nella Chiesa.
Marco, raccontando gli eventi vissuti da Gesù durante la sua vita terrena, ha in mente il Cristo risorto, e vuole aiutare la comunità a capire Gesù oggi, perché per Marco credere vuol dire accogliere Cristo nella propria vita, incontrarlo realmente, personalmente.


3) Il genere letterario

San Marco Evangelista, Chiesa di Santa Maria del Popolo a RomaMarco, componendo il vangelo, ha inventato un genere letterario. Sono stati tentati paralleli con altre opere del tempo, ma il suo vangelo è una cosa unica, ciò che non si può dire di altri libri della Bibbia, come ad esempio i salmi, che hanno in qualche modo un riscontro nella letteratura babilonese, egiziana e cananea.
Questa unicità è comprensibile: Gesù è l’unico ad essere risorto e, quando leggiamo Marco, dobbiamo tener presente che si parla di Gesù risorto, anche se si raccontano fatti molto precedenti.
“Il vangelo di Marco parla del risorto in cammino verso la croce”, dice un autore tedesco.
Questo modo di scrivere è stato poi imitato da Matteo e da Luca, che hanno aggiunto i discorsi di Gesù, i racconti dell’infanzia, e le apparizioni. Persino Giovanni, che pure scrive molto più tardi un vangelo di stampo teologico, seguirà lo schema “inventato” da Marco, anche se Marco può aver colto l’idea nella comunità.

La seconda caratteristica di Marco è di aver scritto la storia di Gesù, creandola con abilità, narrandola in modo vivace e spigliato, non letterario, anche se con linguaggio un po’ rozzo. Non è che Marco inventi dei fatti, ma li collega in modo artificiale, alterandone l’ordine. Riunisce insieme, ad esempio, tutte le parabole del cap. 4, e così pure i miracoli.
Marco ha tuttavia collegato tra loro questi fatti con tale abilità, che leggendo si ha l’impressione di leggere proprio il racconto della vita di Gesù.
Il contenuto è quindi autentico, ma la sequenza dei fatti è stata architettata da Marco.


4) Gesù in Marco

È vero che Marco non sa l’ordine esatto con cui è stata vissuta la vita di Gesù, ma sa che Gesù ha vissuto una storia da uomo, al centro della storia umana. Vi è quindi una narrazione realistica della vita di Gesù, mentre Luca e Matteo la idealizzano un po’.
Gesù, Sacro monte di VaralloSolo in Marco Gesù è scattante, nervoso, si adira, si turba. Il Gesù di Marco è talmente autentico come uomo che affronta l’esistenza come un imprevisto, come capita a noi. Gesù fa delle domande, che non sono solo domande retoriche. In Matteo non ci sono più, perché Gesù sa già tutto.

Mentre Matteo presenta la dignità sovrumana di Gesù, maestro divino che insegna e Luca presenta la mansuetudine di Gesù, amore di Dio che perdona, a Marco interessa presentare Gesù uomo, la cui umanità è vera. Gesù è in mezzo a noi, è uno di noi, vive la nostra stessa vita, ha gli stessi nostri problemi. È veramente il Figlio di Dio, eppure come uomo Gesù non è idealizzato: è un personaggio autentico che sbuca dall’esistente in un modo realmente concreto.


Fonte: da Progetto 1991

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