Il senso delle cose

Publish date 24-09-2012

by Renato Bonomo

di Renato Bonomo - Se ci interroghiamo seriamente sulla nostra esistenza, capiamo che conta solo ciò che ci completa. Per questo ci meravigliamo, per questo sogniamo. Nonostante tutto.

Solo un grande filosofo come Pascal è riuscito a descrivere la condizione umana con acutezza e in così poche parole: “Non so chi mi ha messo al mondo, né che cosa è il mondo, né chi sono io; mi trovo in una terribile ignoranza di tutte le cose, ignoro che cosa sia il mio corpo, i miei sensi, la mia anima e questa parte del mio io che pensa quel che dico, riflette su tutto e su stessa e ignora se stessa quanto tutto il resto. Non vedo che l’infinità da tutte le parti, le quali mi rinserrano come un atomo e come un’ombra che dura un istante e non ritorna”. Di fronte al tutto che ci circonda siamo ombre, atomi ignoranti. Dopo qualche istante di giustificato silenzio per la profondità della riflessione, proviamo a fare qualche piccola considerazione ulteriore. A prima vista può sembrare che la citazione rappresenti la tipica riflessione da filosofo, cioè il prodotto di una persona che per mestiere si rivolge ad altri filosofi. In realtà Pascal non ha fatto altro che rendere in modo mirabile un pensiero che ciascuno di noi può giungere a formulare autonomamente.

Perché l’ignoranza descritta dal filosofo francese non è la sua ignoranza, ma è quella che ciascuno di noi prova dinanzi alle domande che nascono dallo stupore per l’incomprensibile ciclo della vita e della morte, della gioia e del dolore. Magari queste domande possono tacere per lungo tempo, ma vi sarà sempre un evento – che può assumere la forma di un cambiamento repentino e radicale o lento e progressivo – che metterà in discussione abitudini consolidate, facendo riaffiorare questa nostra incapacità di risposta. Eppure, proprio perché siamo così fragili e ignoranti, desideriamo la solidità e la pienezza: in fondo siamo nati per il tutto, nessuno di noi si accontenta della parte. Come diceva un altro filosofo, Parmenide, l’uomo deve volgere il suo pensiero alla tonda verità. Originariamente con verità si intendeva l’assolutamente innegabile, ciò che si imponeva per la sua limpidezza e chiarezza. Verità come togliere il velo, portare alla luce ciò che è nell’oscurità. L’uomo desidera sapere tutto e senza ombre: ecco perché la verità appare tonda come una sfera compatta, perfetta, completa. Possedendola non abbiamo bisogno di null’altro.

Così come desideriamo sapere, desideriamo anche amare totalmente. Pensiamoci bene: noi non amiamo le mezze misure. Ci possiamo forse accontentare che nostra moglie o il nostro ragazzo ci amino al 50%? Forse noi possiamo limitarci ad amare a metà, ma dagli altri pretendiamo di essere amati pienamente. Non è un’illusione, è la nostra stessa natura che vuole continuamente uscire dai propri limiti, trascendere se stessa per andare verso ciò che è altro da lei. Ma tale volontà non può che nascere dalla sete di infinito di cui siamo costitutivamente fatti. D’altronde, se ci si riconosce piccoli, è perché in qualche modo possiamo concepire il grande, l’infinito.
Ma allora perché non spendiamo la nostra vita per il tutto? Il problema non è dimostrare se questa precarietà esistenziale che ci fa sognare la pienezza coinvolga tutti oppure no. È così. Piuttosto occorre capire quali atteggiamenti possiamo assumere di fronte a questa condizione.
Le alternative sono due soltanto: evitare di pensarci e quindi la fuga o accogliere e affrontare di petto la nostra situazione. La prima via è molto praticata perché costa meno fatica affidarci all’abitudine piuttosto che avventurarci in mezzo a incertezze e novità.

La paura di soffrire ci spaventa e allora preferiamo sognare in piccolo e non in grande per non patire delusioni. Proviamo a fare un esperimento. Prendiamo una moneta e mettiamola direttamente di fronte al nostro occhio, tenendo ben chiuso l’altro. Che cosa vediamo? Solo una moneta che occupa totalmente il nostro campo visivo. Proviamo ora a distanziare di alcuni centimetri la moneta dal nostro occhio. Che cosa vedremo ora? Sempre una moneta ma questa volta non ci impedirà di guardare tutte le altre cose. Perché questo esempio? Per dirci che a volte mettiamo solo noi stessi, che siamo piccoli in proporzione alle dinamiche del mondo, davanti al nostro sguardo impedendoci di andare oltre, rinunciando a capire che cosa ci circonda. Dobbiamo spostare la visuale per allargare il nostro orizzonte e capire le nostre reali dimensioni. Questo non vuol dire sparire o annichilirci: nell’esempio la moneta non scompare, semplicemente ritrova le sue corrette proporzioni.

La crisi, la sfiducia, il senso di soffocamento che deriva da un futuro che si restringe sempre più sono dei potentissimi fattori di chiusura: l’adesso devo pensare a me diventa l’adagio delle giornate. Non è cattiveria ma è un egoismo di riflesso di chi ritiene di non riuscire a salvare se stesso, figuriamoci il mondo. Ma è proprio questo il punto. Quanto tutto sembra spingere la moneta verso l’occhio, dobbiamo credere in una strada alternativa. Altrimenti cadremo nel circolo vizioso della profezia che si auto-avvera. Per questo non dovremo mai smettere di provare smisurata carità nei confronti di chi vede solo in piccolo, nell’attesa che coloro che vedono l’orizzonte oltre la moneta siano testimoni e aiutino gli altri ad aprire lo sguardo. Chiudersi in se stessi vuol dire diventare ciechi. Riscoprire il mondo, l’umanità è una necessità come lo è aprirsi al desiderio e al sogno di ciò che è più grande di noi, ciò che i filosofi hanno chiamato l’Altro.

La filosofia come ci aiuta ad affrontare questi interrogativi? Essa ha da tempo rinunciato alla ricerca di verità assolute, ha abdicato al proprio compito originario di indagare il tutto. Dopo Nietzsche la sua funzione critica ha preso il sopravvento sulla funzione di costruzione del sapere. Ha prevalso la frammentazione della ricerca e la specializzazione in campi di indagine molto limitati.

Anche se non possiamo più pretendere molto dalla filosofia, è pur vero che essa non tace di fronte agli interrogativi che ci siamo posti. In particolare essa offre interessanti stimoli in due direzioni particolari: da una parte ci indica la via della virtù, dall’altra quella del senso.
La filosofia più laica, in mezzo alla caduta di ogni valore e verità, ritorna all’individuo mediante il tema della virtù. Come a dire: se del mondo e del domani non vi è certezza tu coltiva te stesso e cerca di tirare fuori il bello e il buono che vi è in te, realizzando ciò che veramente sei, indipendentemente dal mondo che ti circonda. Il mondo non ha senso ma non per questo dobbiamo perdere noi stessi.

Un’altra filosofia, più incline al dialogo con la fede, cerca invece le proprie risposte all’interno del tema del senso. Il senso vuole provare ad ingrandire l’orizzonte di riferimento, fino a raggiungere una conciliazione tra il mondo e l’uomo, la natura e lo spirito. Esiste un senso, una prospettiva di significato comune a tutte le cose, e io mi posso realizzare solo in esso e non indipendentemente da esso.

Sia che camminiamo sulla via della virtù, sia che percorriamo la via del senso, la strada è comunque ardua e difficile. Ma il camminare è proprio della nostra natura perché il movimento è la necessaria conseguenza della mancanza. La mancanza genera desiderio e sogno, il desiderio e il sogno a loro volta ci mettono in moto per cercare ciò che ci manca. L’importante è non rimanere soli: ci vuole sempre qualcuno che ci accompagni, capace di aspettarci e, all’occorrenza, di scaldarci il cuore.


Speciale – DI SOGNI E DI MERAVIGLIA 3 / 6
“Tante volte si sogna con gli occhi aperti, con la carta e la penna in mano, scrivendo, organizzando i pensieri, immaginando i passi per arrivare a concretizzare quello che non è solo un sogno, ma è una chiamata a fare del bene, ad andare incontro alla pecora smarrita, alle persone bisognose, alle popolazione che si trovano nella fame, nella guerra, nella sventura. I sogni sono belli, perché si trasformano tante volte in realtà. C’è qualche cosa in più. Diceva Helder Camara che il sogno che si sogna da solo non è altro che sogno, ma quello che sogniamo insieme è il sogno che si fa realtà. Proprio perché nell’essere condiviso con gli altri crea unione e collaborazione, porta frutto di vita e di fraternità”. (Luciano Mendes de Almeida)


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