Chi sogna, cambia

Publish date 26-09-2012

by Matteo Spicuglia

di Matteo Spicuglia - Il presente e il futuro di due giovani, in un angolo della Turchia profonda. Figlie di un popolo ferito: scelte diverse davanti alla paura.

Febronia e Sara hanno gli stessi occhi. Neri, penetranti: la forza di chi ha imparato a cogliere l’essenziale. I loro passi si sono incrociati centinaia di volte nelle stradine della città vecchia. Continuano a farlo anche adesso che hanno poco più di 20 anni. Gli stessi vicoli, ma Febronia e Sara camminano su strade diverse.
Abitano a Midyat da sempre, nel cuore della regione di Mardin, nel sudest della Turchia. Sono aramee, figlie di un popolo antichissimo che parla ancora l’aramaico, la lingua di Gesù e degli apostoli. Quattromila anni di storia, un fazzoletto di terra al confine con la Siria come patria. Gli aramei la chiamano Tur Abdin, montagna dei servitori di Dio, un nome che si spiega da solo davanti alle rovine di centinaia di chiese, monasteri, villaggi. Per gli aramei, lingua, cultura e religione sono un tutt’uno. Le incontri nei volti, nei monumenti, nelle mille pieghe di questa terra. Soprattutto nelle sue ferite. Perché gli aramei sono quasi scomparsi da Tur Abdin. Ne rimangono appena 2500, la maggioranza è curda.

Le famiglie di Sara e Febronia sono rimaste, ma hanno visto la loro terra cambiare. Il primo scossone nel secolo scorso, con il genocidio degli armeni del 1915. Turchi e curdi non fecero distinzione nella caccia al cristiano. Morirono almeno 90mila aramei. Poi, le persecuzioni dei decenni successivi, la guerriglia del Pkk, la povertà, la regione militarizzata da Ankara. Dagli anni ‘60, chi ha potuto è fuggito in Europa, negli Stati Uniti, in Australia. Scappavi all’improvviso per salvare la pelle. Dietro solo porte chiuse bene e la speranza di tornare. Quasi nessuno lo ha fatto. Nei villaggi parla solo l’abbandono: le vecchie case dei cristiani sono state occupate dai curdi, spesso in modo illegale. Tante chiese, trasformate in moschea. Sullo sfondo, una convivenza che non è mai stata facile, il destino di una minoranza sottomessa alle logiche dei clan curdi della zona. Nel pieno rispetto della regola del pesce grosso che mangia il pesce piccolo.
Oggi, la situazione è più tranquilla, ma il sangue di ieri è ancora fresco. Come la paura. A Midyat e Mardin, padri di famiglia aramei sono stati uccisi solo perché avevano deciso di non scappare come tutti gli altri. Ci sono ragazze cristiane sparite nel nulla. Rapite, molestate, portate chissà dove. A Tur Abdin, è pericoloso fare domande.


Febronia e Sara sono cresciute in questo clima. Sono le più piccole di casa. Febronia ha sette fratelli più grandi, oggi vive con i genitori alle porte del villaggio, nella piazza del mercato. Sara invece ha fratelli piccoli. Per loro è come una seconda mamma. Sono sveglie Sara e Febronia, bravissime a scuola: per i ragazzi aramei lo studio è la prima forma di riscatto. Sognano un lavoro, una famiglia. Nient’altro.
I desideri di una ragazza sono gli stessi ad ogni latitudine, ma non tutte le latitudini sono uguali, a volte nemmeno le strade dello stesso villaggio. È la paura che fa la differenza. La paura schiaccia o ti dà ali, ammorba o ti fa spaccare il mondo.

Sara e Febronia hanno reagito in modi diversi alla fatica e ai soprusi di Tur Abdin. Sara tre anni fa ha rinunciato al suo sogno: le piaceva la matematica, l’unica possibilità era andare all’università di Mardin, un’ora di macchina da Midyat. “Per una ragazza aramea è impossibile, è troppo pericoloso, – dice – ho preferito smettere. Oggi, aiuto i miei fratelli, accolgo i turisti che vogliono visitare le nostre chiese. Va bene così”. Sara sorride, ma lo sguardo è spento, la rinuncia brucia. Altri hanno deciso per lei, forse una famiglia troppo apprensiva. Ma perché non provarci adesso? “È impossibile, ormai sono vecchia”. A dirlo, è una ragazza di 22 anni, con una rassegnazione che sgomenta e intenerisce. La rassegnazione che purtroppo, da queste parti, ha preso la vita di tanti. Ma non di tutti.

Nessuno più di Febronia ha capito il silenzio e lo sguardo basso del padre, quando timorosa e decisa gli disse: “Voglio fare l’università, voglio studiare a Istanbul. Poi tornerò”. Suo papà non se lo aspettava, eppure per quella figlia avrebbe fatto di tutto. Certo, con un macigno dentro. Perché apertamente non se ne parla, ma essere cristiani non è facile, nemmeno in un grande Paese come la Turchia, che di passi in avanti comunque ne ha fatti. La mentalità è la chiave di tutto: la testa con i suoi giudizi e pregiudizi a volte crea problemi più grandi del mancato riconoscimento dei diritti.

Febronia e la sua famiglia in una sera d’estate di 5 anni fa hanno capito sulla loro pelle che sognare comporta dei rischi. Chi non li accetta, ha già perso. Anche per questo, due genitori cresciuti in mezzo al niente, alla fine si sono buttati a capofitto nel desiderio della loro figlia più piccola. Febronia è diventata così la prima ragazza aramea di Midyat ad essersi laureata a Istanbul. Economia e scienze politiche. Oggi, parla 5 lingue: oltre all’aramaico, anche il turco, l’inglese, l’arabo e il curdo. “È stata durissima, – racconta oggi – dopo il diploma dovevo avere un punteggio molto alto per essere ammessa all’università. Ho studiato tantissimo. I miei amici la sera uscivano per andare a qualche festa, io invece studiavo tutto il tempo, anche 8 o 9 ore al giorno”. Anni di studio, di sacrifici: Febronia in una città da 12 milioni di abitanti, i genitori nel villaggio, tra preoccupazioni e speranze. “Siamo una famiglia coraggiosa, – spiega Febronia – anche io lo sono”.
Febronia ha rotto con i libri e la passione il cerchio della paura.

Ma non si è fermata qui. Avrebbe potuto rimanere a Istanbul, farsi la sua vita, cogliere le opportunità della capitale economica di un Paese che cresce al ritmo del 7% all’anno. Invece no. Ha allargato i suoi orizzonti, si è confrontata con una vita diversa da quella delle distese immense di Tur Abdin. Ma solo per tornare, per cercare di dare il suo contributo lì dove è nata. Febronia sa che la sopravvivenza del popolo arameo in patria, dipende anche da chi sceglie con tutto se stesso di non fuggire. “Il mio cuore è a Midyat, – spiega con orgoglio – tutta la nostra storia è qui, questo è il villaggio di mio padre, di mio nonno. Io voglio rimanere. So che la città è piccola, che le opportunità di lavoro sono poche, ma voglio provarci. Già troppe persone sono andate via e non sono più tornate. È stato un errore grandissimo. Io voglio comportarmi diversamente”.

Febronia è decisa, sicuramente troverà la sua strada: forse non capirà subito i passi da compiere, ma dentro ha già chiara una direzione. Chi coltiva i propri sogni, poi, risponde ad un dovere e dà l’esempio. “La mia scelta è stata di aiuto ad altri; – racconta – una mia amica più grande ha avuto lo stesso problema: voleva studiare, ma stava rinunciando per paura. Quando mi ha visto partire per Istanbul, si è fatta coraggio e oggi studia a Izmir”.
Ma cosa dire di Sara, che si sente vecchia a 22 anni? Febronia non giudica, alza le spalle, in silenzio ti fa capire che a Tur Abdin è difficile entrare nel cuore e nella testa di un popolo che soffre. In fondo, ognuno sceglie la sua strada: slanci e ferite meritano lo stesso rispetto. Il futuro però ha il colore della speranza. “La situazione per noi aramei può cambiare; – dice Febronia con un sorriso – alle superiori ero l’unica ragazza cristiana in una classe musulmana. Sono nate amicizie, non ho avuto grandi problemi. Ho capito che se i giovani vogliono, sanno essere migliori della generazione precedente. Alcuni anziani continuano a pensare con la testa all’indietro. Noi giovani possiamo sognare e cambiare le cose”.


Speciale – DI SOGNI E DI MERAVIGLIA 4 / 6
“Tante volte si sogna con gli occhi aperti, con la carta e la penna in mano, scrivendo, organizzando i pensieri, immaginando i passi per arrivare a concretizzare quello che non è solo un sogno, ma è una chiamata a fare del bene, ad andare incontro alla pecora smarrita, alle persone bisognose, alle popolazione che si trovano nella fame, nella guerra, nella sventura. I sogni sono belli, perché si trasformano tante volte in realtà. C’è qualche cosa in più. Diceva Helder Camara che il sogno che si sogna da solo non è altro che sogno, ma quello che sogniamo insieme è il sogno che si fa realtà. Proprio perché nell’essere condiviso con gli altri crea unione e collaborazione, porta frutto di vita e di fraternità”. (Luciano Mendes de Almeida)


This website uses cookies. By using our website you consent to all cookies in accordance with our Cookie Policy. Click here for more info

Ok