I frutti dell'amore

Publish date 04-06-2019

by Matteo Spicuglia

di Matteo Spicuglia - Maria e Odoardo si erano conosciuti e innamorati in uno dei periodi più complicati della storia. Ma mentre tutto crollava, l’amore cresceva. Più erano lontani e più si sentivano in comunione. E quando intorno tutto parlava di morte, loro con assoluta semplicità risposero con ancora più vita. Fino alla fine. Siamo a Carpi, negli anni della seconda guerra mondiale. Maria e Odoardo Focherini sono una coppia di grande fede e grandi ideali. Lui assicuratore, giornalista, poi amministratore dell’Avvenire d’Italia. Lei sempre al suo fianco, a seguire i loro sette figli. Un amore totale, due vite intensissime che si completavano a vicenda. Non ebbero dubbi quando a Odoardo chiesero di mettersi in gioco per salvare gli ebrei perseguitati anche in Italia dal nazifascismo. Insieme ad altri amici, Focherini riuscì a creare una rete di solidarietà per produrre documenti falsi e aiutare altre famiglie a rifugiarsi in Svizzera. Odoardo pagò questa scelta con la vita. Arrestato e deportato, morì di stenti nel 1944, nel campo di concentramento di Hersbruk. Maria attraversata da un dolore atroce, eppure consapevole dell’eternità dell’amore dato e ricevuto. Rimase sola a crescere sette figli: la più piccola Paola, aveva appena sette mesi. «Si amavano tantissimo e scelsero di avere una famiglia numerosa, – dice oggi – i miei fratelli ricordano che quando sono nata, il babbo mi prese in braccio con una gioia grandissima, come fossi stata il primo figlio. Anche se di fatto non l’ho mai conosciuto, io mi sono sempre sentita accolta».

La scelta di aiutare gli ebrei non fu una decisione solitaria. Il babbo ne parlò subito con la mamma. Anche quel passaggio fu un riflesso del loro amore? Sì, perché lui e mamma erano una persona sola. L’anno prima, quando ormai si cominciava a capire che il fascismo sarebbe crollato, Alcide De Gasperi aveva chiesto a mio papà se fosse pronto a collaborare con lui per il governo del dopo fascismo. Il babbo chiese consiglio alla mamma che disse di no. Era impossibile aggiungere altri impegni a una vita professionale e famigliare già intensa. Ma quando lui le parlò degli ebrei, fu diverso. «Maria, ci sono delle persone da salvare. Che faccio?». La mamma rispose: «Io e i nostri figli una casa ce l’abbiamo. Loro no». E in questo modo gli diede il consenso. La mamma soffrì tantissimo per le conseguenze, ma non se ne pentì mai.

In quel momento sentirono che era la cosa giusta da fare... Evidentemente sentivano che la Provvidenza era con loro. Ed erano cristiani veri. Papà per esempio sentiva il bisogno di fare la comunione ogni giorno, ma in quei tempi ci si poteva comunicare soltanto fino alle 14. Nel pomeriggio non era possibile. Allora un sacerdote di Carpi non chiudeva il Duomo finché non arrivava il babbo. La stessa necessità che aveva la mamma. Una volta rimasta vedova, lei usciva soltanto alle 6.30 del mattino per andare a messa.

Attraverso la scelta d’amore dei suoi genitori, cento ebrei ebbero salva la vita… Sì, la loro decisione umanamente non è comprensibile: è vero, c’erano di mezzo persone in difficoltà, ma il babbo aveva anche sette figli. Io ci ho messo 50 anni a capire. Alla fine, mi sono detta che in fondo non è stata una scelta, ma la risposta ad una chiamata di Dio. E a Dio non si dice di no. Il babbo ne ha parlato anche in una lettera dal campo di concentramento: «Nulla di ciò che è dolore e sofferenza va perduto ma tutto si tramuta in benedizione se accettato con fede ed offerto a Dio».

Dove vede pace nella storia dei suoi genitori? Il babbo e la mamma hanno vissuto sempre da operatori di pace. Assumere un ebreo all’Avvenire d’Italia come ha fatto il babbo è pace! Riunire un gruppo di gente a pregare in una baracca è pace! Trovare nella preghiera la forza di sopravvivere alle angherie subite in un campo di concentramento è pace! Tenere in vita un internato come lui dandogli la propria razione di pane è pace! Così la mamma che dopo la guerra ha insegnato a mio fratello ad andare a pregare al cimitero anche sulla tomba di un tedesco. Non ci ha mai insegnato l’odio o la vendetta.

Oggi Paola, qual è la sua speranza? La speranza è di vedere il babbo, finalmente di conoscerlo. Lui sicuramente è in Paradiso. Quando sarà il mio.

Matteo Spiuglia
NP FOCUS - Facciamo Famiglia

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