ETIOPIA - ERITREA: “Kemey tknoi aleki?”… Come stai?

Publish date 31-08-2009

by sandro


Fatima e Miriam dovrebbero essere nemiche, ma il desiderio di pace, sicurezza e futuro le ha fatte incontrare... in una storia di stra-ordinaria fratellanza. A due voci, tratteggiano l’intricata storia dei loro popoli.


di Tina Fusco

Quando arriva in Italia, Fatima non conosce una parola d’italiano. Ha 25 anni ed è scappata dall’Etiopia insieme a suo marito, un anno più grande di lei. Ha fame e non sa come dirlo. L’aiuta Miriam, eritrea di 23 anni, anche lei fuggita dal suo Paese, e conosciuta in un dormitorio femminile di una città del Nord Italia.
 Fatima - Miriam traduce - si lascia scappare un’espressione che mi colpisce: “Mi sento con le braccia e con le gambe tagliate!”. È fuori dalla sua terra, lontana da tutti… Non si sente in grado di fare nulla. È molto informata sulla situazione politica del suo Paese. Lei appartiene al popolo “Oromo”, che costituisce il 40% della popolazione etiope; da anni vive sulla propria pelle la lotta del suo popolo che reclama l’indipendenza dall’Etiopia. Gli “Oromo”, dice, sono considerati “inferiori” dagli etiopi, ma lei non si sente affatto così: “gli Oromo hanno una loro cultura ed una loro lingua, sono diversi, ma non inferiori. Diversi e basta”.

Fatima conosce bene anche il dramma della guerra chel’Etiopia combatte contro l’Eritrea da oltre 30 anni. Nel 1993 l’Eritrea ottiene finalmente l’indipendenza dall’Etiopia. Il fatto però di non aver stabilito fin dall’inizio confini chiari e definitivi ha portato ad un rapido deterioramento dei rapporti tra i due Paesi, degenerato in una sanguinosa guerra a tutto campo, ancora ben lontana da una soluzione. Bilancio: oltre 70.000 morti e mezzo milione di profughi…

L’Eritrea cerca l’indipendenza dall’Etiopia e quest’ultima cerca di sopraffare l’Eritrea, soprattutto per ottenere uno sbocco sul Mar Rosso. Attraverso il canale di Suez transitano ogni anno oltre 250 tonnellate di merci! La “ribelle” Eritrea è quindi un Paese geo-politicamente e strategicamente importante, soprattutto per la sua costa. Ha un popolo difficile da “riportare alla ragione”, che lotta e porta avanti, da anni e con fierezza, la sua resistenza, anche se il Paese è stato messo in ginocchio dai bombardamenti, che hanno distrutto le sue più importanti infrastrutture. Miriam dice che è per colpa dell’Etiopia che gli eritrei soffrono; lei stessa ha ricevuto molto male da loro…

Fatima e Miriam dovrebbero essere “nemiche”. Le due ragazze, invece, si incontrano e convivono, mostrano una perfetta sintonia e si aiutano a vicenda. Miriam, che oltre alla sua lingua nazionale, il tigrino, conosce anche la lingua nazionale etiope, l’amarico, come pure l’italiano, è perfettamente in grado di parlare con Fatima e, inoltre, le fa da traduttrice. Prima del ’93, l’insegnamento dell’amarico era imposto a scuola come lingua nazionale, ora questa conoscenza permette a Miriam di aiutare proprio una sua “nemica”. Mentre i due popoli a cui appartengono si combattono e fanno di tutto perché l’odio non diminuisca, loro si aiutano… Una è cristiana e l’altra musulmana, ma nemmeno questa è una barriera insormontabile.

Miriam racconta che dopo il ’93 aveva creduto che finalmente avrebbe potuto vivere in una Nazione che cominciava a lavorare per creare le strutture di uno Stato indipendente. A 18 anni aveva fatto il servizio militare obbligatorio, che prevedeva 6 mesi di attività militari e 6 mesi di attività a favore della società civile, per ricostruire le infrastrutture. Poi era nuovamente scoppiata la guerra con l’Etiopia. Attualmente continuano le azioni di guerriglia. Non ci sono possibilità di lavoro, la sola rimasta è quella di arruolarsi nell’esercito, ma anche questo è quasi in sfacelo, non ci sono i soldi per gli stipendi e così tanti giovani continuano a scappare. Tutta l’economia è bloccata. L’Onu ha inviato delle truppe sul confine ma non servono praticamente a nulla.

Miriam è fuggita dal suo Paese nel dicembre del 2004 perché era diventato impossibile continuare a vivere in mezzo alla guerra. Si spostava di notte, con un’amica, quasi sempre a piedi. Così ha raggiunto il Sudan, poi la Libia, dove è rimasta qualche mese, lavorando un po’, ma non si sentiva sicura neanche lì: “per una ragazza cristiana - dice - non c’è tranquillità, ne in Sudan ne in Libia.

Con un motoscafo (erano in 25!), è riuscita ad arrivare in Italia. È convinta che ogni persona desideri prima di tutto la pace e solo dopo la ricchezza ed il proprio benessere. Per questo è scappata. Sulla sua pelle ha fatto l’esperienza che se c’è guerra non si può crescere. Ora vuole fermarsi in Italia, non pensa di tornare. Quando fa colazione e guarda la sua tazza di latte, fa fatica a berlo, perché pensa che nel suo Paese manca per tutti, insieme a ad ogni altro prodotto essenziale per vivere.

 Miriam e Fatima sono giovani. Non hanno mai conosciuto la pace perché sono nate in mezzo alla guerra ed è già una fortuna che siano arrivate sino ad oggi. Si sono incontrate per caso, o meglio, nella disavventura, è la loro disperazione che le ha fatte incontrare… Entrambe sono state accolte come rifugiate politiche che hanno fatto richiesta di asilo. Sono lontane migliaia di chilometri dalla loro terra, dopo mesi e mesi di triste e difficile peregrinare attraverso due continenti. Sono in cerca di pace e sicurezza, di futuro. Vogliono semplicemente vivere.
Ci verrebbe da pensare: “Tanta gente si affaccia, rilassata ed incantata, sul Mar Rosso da una nave da crociera o si stende al sole sulle sue spiagge da favola. Si chiama Mar Rosso per i suoi fondali colorati e preziosi, o si chiama così per il sangue versato di tanti innocenti…?”.
di Tina Fusco
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